Sirsasana, o l’inversione degli orifizi

Se fossimo dei triangoli la proprieta’ del capovolgere la posizione sarebbe quella d’invertire la base con il vertice. Non e’ poco.

Ma non siamo triangoli, bensi’ bipedi, e in questa forma ad invertirsi e’ una gerarchia anatomica alla quale diamo un senso: gli orifizi superiori e gli orifizi inferiori.

E’ possibile forse che parte della storia evolutiva dei corpi e degli equilibri risieda anche in una piccola storia dei buchi del corpo, delle aperture e di come queste si collocano nello spazio.

Nell’arco di una lunga storia evolutiva fatta di forze che agiscono sul corpo, di assi, di sopravvivenza, gli organi si sono dislocati attuando nel corpo umano, in primis, il fenomeno della cefalizzazione: gli occhi, le orecchie, la bocca, il naso, assemblati nella parte piu’ alta, per svettare, controllare, sentire, conoscere, esprimere, e sfruttare appieno la luce del sole. Con la cefalizzazione giunge la parola, il riso, il pensiero, il senso del sacro.

A rimanere esclusi da quest’esposizione verticale, sono gli orifizi inferiori, raccolti li’ in basso, protetti dall’ombra, dai muscoli del bacino, dallo psoas.

Oltre ad essere dei bipedi siamo anche dei tubi che risentono della forza di gravita’; dal percorso dell’alimentazione (bocca-ano-uretra) a quello del parto, scarichiamo, e scarichiamo verso il basso.

Un senso anatomico al quale di epoca in epoca abbiamo attribuito ulteriore valore: cognitivo, sociale, morale, estetico.

Affrancati dall’orizzontalita’ animale, in sirsasana ci si affranca anche per qualche istante dalla direzione della verticalita’ umana. Ci si proietta all’insu’, ma a testa in giu’.

Invertire la posizione del corpo, in particolare della testa in relazione al bacino, e’ un atto anche cognitivo, per predisporci al cambiamento del punto di vista, al capovolgere l’azione della gravita’ sul corpo, al sostenere una differenza, al renderci abili a liberare per qualche istante cio’ che ci sostiene, i piedi, e a porre vicino al terreno, la testa.

Svariati gli ottenimenti del metodo.

 

Sirsasana, la posizione sulla testa.

Porsi a quattro zampe. Respirazione nasale regolare e profonda.

I piedi puntati al suolo. La colonna vertebrale parallela al suolo, disinarcando la zona lombare attraverso un leggero risucchio dell’ombelico nella direzione della colonna vertebrale. Lo sguardo al suolo, il mento vicino al collo.

Espirando piegare i gomiti e appoggiarli attivamente al suolo, agganciare per un istante i gomiti con le mani per calibrarne la giusta distanza; s’intrecciano poi le dita delle mani a formare una coppa, tranne i pollici.

Con una espirazione si sfiora il suolo con il punto tra la fronte e l’attaccatura dei capelli, nuca allungata e senza tensione. Spingere con forza al suolo con braccia, gomiti, mani. Allontanare le spalle dalle orecchie, attivi i muscoli della schiena.

Inspirando spingere con i piedi a terra e allungare le gambe.

Si inizia a sopraelevare il bacino compiendo piccoli passi con i piedi nella direzione della testa. Il peso sulle braccia al suolo, e non sulla testa, forti le spalle, il deltoide, il trapezio.

Il peso del corpo si sposta leggermente in avanti, una sensazione di leggerezza sui piedi, a tal punto dal concederci di staccarne uno dal suolo.

Piu’ il bacino si porta sulla linea delle spalle, piu’ piedi e gambe si fanno libere e agili di invertirsi all’insu’. Il corpo e’ nella condizione di porsi in sirsasana quando i piedi si staccano dal suolo quasi spontaneamente per lo spostamento del baricentro e del peso.

CI si porta sulla verticale solo nel momento in cui percepiamo a livello mentale e fisico che il nuovo appoggio a terra, di gomiti e mani, e’ sicuro a tal punto dal sostenere tutto il resto del corpo. Non ci si ponga in una posizione di tensione a livello cervicale ma di forza nelle braccia e nelle spalle e di leggerezza degli arti inferiori rivolti ora all’insu’.

Proseguire gradualmente, di volta in volta lasciando che il corpo si abitui alla nuova direzione invertita, e al nuovo punto di appoggio al suolo. Non affrettare i tempi. Nelle fasi iniziali puo’ risultare utile l’ausilio di un muro o di una persona alle nostre spalle.

Mantenere una respirazione calma e profonda.

Espirando lentamente si riappoggiano i piedi a terra, ci si raccoglie qualche istante in balasana, in posizione raccolta con i glutei sui talloni, oppure distesi e abbandonati completamente al suolo in shavasana.

Lasciare assimilare al corpo gli effetti dell’inversione mantendo il ritmo del respiro regolare. Al bisogno, accogliere qualche sospiro liberatorio.

 

 

 

Queste indicazioni sono estremamente generali, con lo scopo di condividere un archivio. Essere nella condizione di ricercare indicazioni tecniche su come praticare un asana e’ indice di curiosita’, o un segnale d’incertezza. Nel secondo caso si consiglia la pratica con un insegnante in carne ed ossa.