TRA HATHA YOGA E ARTE CONTEMPORANEA: L’ATLETICA AFFETTIVA DI ANTONIN ARTAUD

TRA HATHA YOGA E ARTE CONTEMPORANEA: L’ATLETICA AFFETTIVA DI ANTONIN ARTAUD

Gli yoga e le pratiche artistiche. Per cominciare un atto in fieri di ricerca di quanto possa esserci di eco di cultura yogica nelle pratiche artistiche del contemporaneo, arti visive, performative, letterarie, si mobilita qui uno dei piu’ significativi maestri del teatro (e del pensiero) novecentesco: Antonin Artaud.

Ai miei praticanti, un invito a conoscerlo, prendendosi la liberta’ e il piacere di incrociare i saperi intorno allo yoga li’ dove non e’ scontato incontrarli.

Artaud elaboro’, entrando e uscendo dai manicomi e dagli spazi teatrali, tra i suoi articolati studi e pratiche, tra hatha yoga e discipline corporee di matrice orientale, un poetico contributo alle tecniche respiratorie ed espressive interessanti anche per la contemporaneita’ della pratica yogica, in relazione in particolare ai pranayama, gli esercizi del respiro.

 

Mi limito qui, per ora, e nel desiderio che sia un work in progress, a riportare alcune parti tratte da Il Teatro e il suo doppio, testo del 1938 (qui dall’edizione italiana Einaudi, Torino, 1968), e a lasciare a chi si dedica alla pratica e allo studio dello yoga, una riflessione del tutto libera e intima, alla ricerca di riverberi di quanto consideriamo yogico. Ed ecco Antonin Artaud nel capitolo “Un’atletica affettiva“:

 

Cio’ che il respiro volontario provoca e’ una riapparizione spontanea della vita.[1]

 

Bisogna ammettere nell’attore l’esistenza di una sorta di muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti.

L’attore e’ simile a un vero e proprio atleta fisico, ma con questo sorprendente correttivo: all’organismo atletico corrisponde in lui un organismo affettivo, parallelo all’altro, quasi il suo doppio benche’ non operante sullo stesso piano
Il problema del respiro e’, di fatto, fondamentale; ed e’ inversamente proporzionale all’importanza dell’azione esterna. Piu’ la recitazione e’ sobria e contenuta, piu’ il respiro e’ ampio e denso, sostanziale, sovraccarico di riflessi.

Viceversa, a una recitazione impetuosa, gonfia, esteriorizzata, corrisponde a una respirazione a ansiti brevi e schiacciati.

E’ certo che a ogni sentimento, a ogni movimento dello spirito, a ogni sussulto dell’affettivita’ umana, corrisponde un respiro che e’ proprio.”

 

Conferire un sesso ai movimenti delle passioni[2]

“Si puo’ ridurre fisiolgicamente l’anima a una matassa di vibrazioni.

Si puo’ vedere questo spettro d’anima intossicato dalle sue stesse grida, altrimenti a che cosa corrisponderebbero i mantra indu’, queste consonanze, queste accentuazioni misteriose, dove le nascoste forze materiali dell’anima, braccate sin nelle loro tane, vengono a svelare alla luce i loro segreti.

Credere a una fluida materialita’ dell’anima e’ indispensabile nel mestiere dell’attore. Sapere che una passione e’ materia, garantisce un dominio sulle passioni che allarga la nostra sovranita’.

Raggiungere le passioni attraverso le loro forze, anziche’ considerarle astrazioni pure conferisce all’attore una maestria che lo eguaglia a un autentico guaritore.

Sapere che l’anima ha uno sbocco corporeo permette di raggiungere l’anima in senso inverso; e di ritrovarne l’essenza grazie ad analogie di tipo matematico.

Conoscere il segreto del ritmo delle passioni, di questa sorta di tempo musicale che ne regola il battito armonico, ecco un aspetto del teatro cui da tempo il nostro moderno teatro psicologico ha sicuramente cessato di pensare.[3]

 

“Tutti i mezzi della lotta, del pugilato, dei cento metri e del salto in alto trovano analogie organiche nell’esercizio delle passioni; hanno gli stessi punti fisici di sostegno”[4]

 

 

La relazione tra il teatro di Artaud e la disciplina, la disciplina in generale e alcune discipline orientali, e’ complessa; la tesa analisi di Artaud lascia emergere anche qui la sua abilita’ critica nei confronti dell’articolata relazione tra i saperi, i poteri, i controlli, e l’individualita’:

 

“Je ne supporte pas la yoga…ni comme science ni comme moyen de parvenir a l’ignorance de la science[5]

 

“Non sopporto lo yoga…né come scienza né come mezzo per raggiungere l’ignoranza della scienza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Antonin Artaud, Il Teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 1968, pag. 245.

 

[2] ivi, pag. 242

[3] ivi, pag. 244

[4] ivi, pag. 245

[5] Kenneth White, Le monde d’Antonin Artaud, Edition Complexe, Bruxelles, 1989, pag.60.