Praticare yoga per sciogliere alcuni dogmi dello yoga

Praticare yoga per sciogliere alcuni dogmi dello yoga

Il dogma e’ ogni principio che si accoglie per vero o giusto, senza esame critico o discussione.

E’ una comunicazione alquanto semplice ma importante per ogni praticante. E’ un invito, a dire il vero: ogni qualvolta ad una lezione sentite il sapore di dogma negli insegnamenti ricevuti, concedetevi la liberta’ di chiedere, la volonta’ di sapere, il piacere di comprendere. Fatelo, se lo ritenete opportuno, facendo domande, tante, tantissime domande. Non si tratta per certo di borbottare caparbiamente intorno ad un sapere centenario assai complesso da studiare e insegnare, ma semplicemente di non subire passivamente comunicazioni e prassi che richiedono un po’ di cura in piu’, in primis da parte di chi insegna.

Un esempio di dogma, da dizionario e’, tra i tanti, la verita’ rivelata da un dio o definita da una chiesa come tale, in forma di verbo, imposta ai credenti come articolo di fede, ma anche una convinzione formulata filosoficamente e posta come principio di un pensiero o di una dottrina.
Ci piaccia o meno, lo yoga ne era pieno, ne e’ pieno, ne sara’ pieno.
La macro dinamica evidente e ricorrente nelle testualita’ yogiche, dagli Yoga Sutra di Patanjali al Tantraloka di Abhinavagupta, per quanto diversi, e’ pur sempre quella di un’economia corporea, di un’igiene corporea, di una dietetica corporea, in relazione a quanto ritenevano divino, diremo noi oggi, altro da quel corpo. Le regole del divino, chiamiamole cosi’, erano, sono, saranno per sempre le stesse? E cosa c’entra questo con i modern yoga? Probabilmente non ci resta che praticare e tentare di comprendere cosa stiamo praticando.

In linea di massima si narra che qualcosa d’incorporeo sia in un qualcosa di corporeo. Dicono che il secondo vincoli il primo, che il primo vincoli il secondo. Si procede comunque con astensioni, trattenimenti, regole, disciplina.  In ogni caso, si agisce per svincolare, ma lo si fa dandosi una regolata.

Tendenzialmente ogni assunto presuppone cio’ che lo precede, ovvero, in tal caso, si da’ per scontato che l’umano sia sregolato, o che in qualche modo tenda a sregolarsi, e dunque in cerca di regola. E’ qui che ogni disciplina incrocia il suo successo, piu’ o meno apparente.

Ci sono poi personalita’ come Michel Foucault, e altri pensatori insieme a lui, che nel cuore degli sviluppi del pensiero filosofico della fine del novecento, nell’analizzare sapientemente le dinamiche dei dispositivi di controllo, dai carceri ad alcune forme ideologiche, tentarono, in linea con pensieri emersi differentemente di secolo in secolo, di invertire la formula: non e’ che per caso intrappoliamo la nozione di corpo nella nozione di spiritualita’? Non e’ che, in sintesi, e’ l’idea di spiritualita’ a renderci di piu’ difficile gestione l’idea di corpo, corpo di carne e ossa? Flesh, direbbero gli anglosassoni.

Quest’analisi ovviamente s’infila nel pensiero al di la’ delle credenze o non credenze di ciascuno di noi. S’installa piuttosto nel prendere atto dell’esistenza, nella produzione dei saperi di ogni forma, della nozione di corpo materiale e di immaterialita’, e delle dinamiche tra le due, dei loro equilibri o squilibri.
In ogni caso, non fa una piega, religiosiosamente, politicamente, socialmente: se costruiamo dialetticamente una percezione dell’umano giocata su di un qualcosa da un lato di visibile e corporeo, e dall’altro di un qualcosa di invisibile, e’ ben si’, logicamente, il secondo elemento a risultarci piu’ sfuggevole, e dunque piu’ pericoloso, e quindi piu’ soggetto a dispositivi di controllo. La grande macchina binaria della spiritualita’ e del corpo si gioca tutta sul dare per scontato che spiritualita’ e corpo pre-esistano, in forma di coppia unita o disunita, a qualsivoglia costruzione culturale. Un po’ come se fosssero li’, appese nel vuoto. Ed ecco il pensiero dogmatico di cui sopra. Un dogma, e’, lo ripetiamo, accogliere per vero o giusto, senza esame critico o discussione, un principio.

E qui si genera un primo paradosso: gli yoga, anche qui lo dice la parola stessa, cercano, tra i molteplici ottenimenti, di mettere insieme, di unire, qualcosa che riteniamo, noi e gli yoga, disuniti, o ancor meglio, da unire. Io e te, il sopra e il sotto, il dentro e il fuori, etc etc.
Possiamo pero’ vederla altrimenti, usando alcune sagge parole di Mary Douglas:

“Le idee di separazione, purificazione, demarcazione, e punizione delle trasgressioni, svolgono come funzione principale quella di sistematizzare un’esperienza di per se’ disordinata. E’ solitamente esagerando la differenza tra unito e separato, sopra e sotto, maschio e femmina, con e contro, che si crea l’apparenza dell’ordine”

Le parole disordine e apparenza, ad esempio, sono a mio parere interessanti, e meritano la nostra osservazione, forse ancor piu’ dell’ordine e di cio’ che diamo per certo. Sembra vi debba essere un’arbitraria attribuzione di confini tra noi e voi, tra il dentro e fuori, tra il corpo e il mentale, tra il mentale e lo spirituale. Come fosse sempre tutto non altro che un territorio geografico evidente in cui tracciare linee di confine, in cui qui finisce questo e li’ inizia quell’altro.
Ma ben sappiamo che ogni credenza, ogni dogma, ogni spiritualita’, ogni prassi di pensiero, ogni pratica, non e’ piovuta dal cielo come un aquazzone, ma e’ frutto di un articolato intreccio di produzioni di saperi, di norme, di regole sociali, economiche, politiche, intensamente ancorate all’epoca in cui si sono sviluppate, ieri come oggi.
Forse a irrigidirci non e’ solo la vrtti, il vortice, di cui tanto gli yoga si sono interessati per tentare di conoscerlo e domarlo, ma anche alcune forme di ordine imposto.

Detto questo, mi auguro di avere dato un poco di sollievo a tutti coloro che praticano yoga semplicemente finendo la lezione con un sorriso sulle labbra e una piacevole sensazione addosso di leggerezza. Qualsiasi cosa essa sia.