Asana. Selfie. Condivido. Una piccola riflessione sull’immagine degli yoga

Asana. Selfie. Condivido.

M’intenerisco sempre quando giocando insieme ai bambini, qualcuno di loro comincia a cantilenare “pure io lo so fare, guardami, guardami, pure io lo so fare, pure io lo so fare, pure io lo so fare, guardami”.

Nei cuccioli umani e animali c’e’ il bisogno, essendo vistosamente piccoli, dello sguardo dei grandi, per essere insieme, per strutturare relazioni, per comprendere se possono o non possono, per gratificazione e spinta verso la crescita, l’avventura, l’autonomia, anche muscolare.
Il valore dello sguardo, il gioco di sguardi, il guardare e l’essere guardati e’ relazione estetica, dei sensi con il mondo, con gli altri, l’attrazione, e’ prassi di conoscenza e per certo non si limita ai piccoli, anzi, si moltiplica, modifica, sviluppa lungo tutto l’arco della vita.

Il caso vuole, che quel piccolo che dice “pure io lo so fare, guardami, guardami, pure io lo so fare” e che stuzzica la mia simpatia e sguardo, si sia irrimediabilmente sovrapposto a qualsivoglia selfie scattato e postato da qualcuno in un asana. Pure di me stessa.

Sono fotografa e insegno yoga, che tentazione, e che incrocio malposto e inutile di tecniche. Eppure ogni qual volta mi pongo nella condizione di ri-produrre un’immagine di me stessa in qualche asana, con l’intento di fare un tutorial, di promuovermi, di mostrare, penso che ogni forma di ricerca di approvazione, di sguardo mediato dal mezzo e dalla distanza generata dal virtuale, poco c’entri con quel senso di intimita’ nella pratica che sento a me affine.
Ma questo non e’ esaustivo.

Poi penso che comunque mi mostro ai miei praticanti durante le lezioni frontali, che spesso guardo video di pratiche online, per aggiornarmento e osservare tecniche di insegnanti lontani, talvolta pratico lasciandomi guidare da qualcuno che stimo, e mi sento a tratti appagata, a tratti incerta su cosa pensare di questo flusso oggi inarrestabile di immagini e immaginari sulle pratiche yoga. Sono cresciuta con maestri in carne e ossa, davanti ai miei occhi, vicini, presenti, per anni e anni. Ho gratitudine nei loro confronti.

Per certo, per rendere un poco piu’ piccante questo contributo, e’ necessario fare una breve analisi, in stile visual culture, intorno alla rappresentazione, e alla rappresentativita’, dello yoga.

Come non mai, viviamo nell’epoca del visivo.
Susan Sontag, grande intelletuale e storica della fotografia, narrava che un uomo medievale vedeva, si presuppone, non piu’ di 500 immagini nell’arco di tutta la sua vita. Lo scrive negli anni ’70. Sosteva che secondo i suoi studi, all’epoca, ovvero negli anni ’70, una persona ne vedeva di media 500 ogni giorno. E non c’era internet. Possiamo immaginare quanto questa cifra si sia moltiplicata oggi, nel 2019. Quante immagini vediamo quotidianamente? E quante, nell’epoca della fotografia da tasca, ne produciamo? E quante di queste sono di noi stessi?

Ma questo flusso, per quanto ci piaccia l’arbitrarieta’, e il lasciarci andare ai tempi che corrono, alle mode, alle correnti, non e’ per nulla arbitrario.
Se domani le star californiane dello yoga contemporaneo promuovessero una campagna in cui risulti un povero scemo se ti fai una fotografia o un video mentre pratichi, da domani stesso i flussi di immagini intorno alle pratiche, diminuirebbero drasticamente?
Boh.
Per certo potevamo immaginare che, quando una quindicina di anni fa, lo yoga incontro’ il web, e poi il selfie, sarebbe stata solo questione di attimi, o di scatti.

Anche perche’ chi ha abitudine al selfie, mentre sorride, mentre mangia, mentre viaggia, mentre cammina, mentre solleva pesi, mentre monta la bici nuova, mentre festeggia con amici e amiche, non vedo perche’ si dovrebbe trovare nella scelta, a questo punto immotivata, di autoritrarsi mentre fa qualsiasi cosa, tranne quando pratica yoga.
A quel punto, ecco, forse la scelta risulterebbe un poco esoterica.
Si rischierebbe di cadere nel misunderstanding di ritenere lo yoga un qualcosa da nascondere, e ci sono pure dei testi medievali in sanscrito piuttosto significativi a riguardo.
Ma si cadrebbe soprattutto in una trappola grottesca: mostro tanto di me, ma tendenzialmente non mi faccio un selfie quando sono triste, quando provo dolore, quando sono brutto, quando vomito e faccio cacca, quando faccio sesso (anche perche’ non si puo’ legalemente tranne che in alcuni siti) e, quando faccio yoga.
A quel punto, un patatrac.
Niente, mi tocca farmi un selfie in hastasana, se no non sanno che faccio e insegno yoga.
E’ il caso proprio di Impossible Yoga, per tirarmi una zappata sui piedi.
Ho messo quella miniatura in hastasana negli header perche’ ho pensato che le parole Impossible Yoga, senza un asana degno di un giullare di corte, e per di piu’ su sfondo grigio, e senza alcun loto, fossero un poco “spostati”.
E comunque, quando ho scattato quella foto, ho pensato “guardami, guardami, pure io lo so fare”.

Forse e’ questione di netiquette yoga?
La netiquette e’, per definizione, la network (inglese) etiquette (francese). Cito wikipedia: un insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento di un utente sul web. Ma direi che la netiquette qui non c’entra.

Nessuno che si fa selfie mentre pratica yoga ha intenti malevoli, forse a volte un poco di cattivo gusto, vanita’, ma quest’ultima non e’ negativa, forse a volte qualche errore tecnico che ti viene voglia di toccare il monitor per aggiustarli, a volte sono talmente belli/e e muscolosi/e da farmi pensare completamente ad altro.
Per chi di voi non lo sapesse sono almeno 10 anni che Yoga e’ divenuto una categoria dei maggiori portali di porno online. Ce n’e’ per tutti. Ho trovato anche li’ dei vinyasa piuttosto notevoli.

A parte questa parentesi hot, mi viene da dire che nessuno che si ritragga mentre pratica e condivide sui social fa del male a nessuno. Tranne in quei casi in cui e’ vistoso che si stanno facendo del male da soli, e questo puo’ comportare un rischio indiretto per il praticante inesperto che osserva e poi riproduce sul suo corpo, da solo e senza insegnante dal vivo.
La fretta di mostrarsi online nei neo-insegnanti prevarica talvolta la comprensione di quel che si sta facendo, e di cosa puo’ accadere mostrando qualcosa di compromettente per la salute dei muscoli se mal mostrata o mal narrata.
Ma onestamente capisco anche questo, e lungi da me sbacchettare sconosciuti. Semmai, deformazione professionale, mi viene da scrivergli in privato, e dire che cosi’ creano troppa pressione alle vertebre lombari, e che l’interno dei gomiti e’ meglio ruotarlo leggermente verso l’interno evitando quell’iperstensione dannosa per l’articolazione, e che l’esposizione della luce va presa sul corpo e non sulla finestra alle loro spalle. Ma ovvio non lo faccio mai per davvero.
Ci sono d’altra parte migliaia di ottimi tutorial on line, ma si deve avere un certa esperienza per distinguerli, e selezionarli.

Se affondiamo nei testi classici del passato yoga non e’ per nulla semplice comprendere se nelle pratiche, nelle meditazioni, nei rituali, negli ascetismi eremitici, vi fosse qualcuno a osservare, a scorgere, a sbirciare, ma per certo sappiamo vi fossero gli occhi del maestro sui propri adepti, che ogni protocollo rituale amplificava il suo effetto nel manifestarsi, nel lasciare traccia di se’, che se oggi esiste ancora qualcosa che chiamiamo yoga e’ perche’ questo e’ stato trasmesso testualmente, nelle tradizione orale, negli immaginari, nelle rappresentazioni visive, la statuaria e il disegno a precedere l’epoca della fotografia in pellicola, e poi il digitale. Se lo yoga in epoca coloniale ottocentesca ha cominciato ad arrivare in occidente e’ anche grazie all’avvento della fotografia.
Si fotografa lo yoga da piu’ di un secolo, anche nella stessa India.
Nella cultura yogica, all’epoca come oggi, non possiamo parlare di aniconismo, come invece possiamo parlare di aniconismo di Allah, ad esempio, nella cultura islamica.

Il territorio si fa ancora piu’ scivoloso quando, ritornando al passato, e al passato del gioco di sguardi, ragioniamo sul fatto che a volte alcune pratiche, maggiormente rituali, erano dichiaratamente segrete, con gli stilemi tipici dell’esoterico: la prassi seduttiva del segreto svelato, mostrato, diffuso ma a patto che rimanga segreto. Cio’ che Robert Levy, antropologo statunitense, ha definito come advertised secret.
E’ segreto si’, ma lo diciamo in giro, che e’ segreto.
L’abbiamo fatto tutti almeno una volta nella vita.

E oggi, lo yoga e’ nella sua visibilita’ o invisibilita’? O in entrambe?
Nell’epoca in cui versiamo cosi’ tanto delle pratiche nello streaming on line, perdiamo qualcosa, o ci guadagnamo? Siamo in un’ottica di dono visivo o di qualche scambio di beni, materiali o immateriali essi siano?
Io non lo so, da fotografa direi che desidero la fotografia abbia lunga vita, in ogni suo supporto chimico o digitale, da fotografa direi che il troppo stroppia, e che l’abilita’ selettiva e’ parte integrante del mestiere, ma forse non e’ neppure cosi’ vero, che il troppo a volte puo’ essere veritiero di una differenziazione assai ricca, e che stimola la curiosita’. E i criteri estetico-selettivi non sono necessariamente sempre lucidi.
Da insegnante yoga mi e’ stato insegnato invece a non pavoneggiarmi, a lasciare spazio, a non farne vanto, o gioco di potere, allora ci penso sempre due volte a quel selfie in cui faccio chaturanga.
In ultima istanza resto nel mezzo, che forse e’ da ambigui.
Lo faccio o non lo faccio? Non lo so, vedremo, indago.

Vi e’ chi, per mestiere e per logica di comunicazione/condivisione con un pubblico, ha necessita’ di visibilita’. Artisti, cantanti, ballerini, il professore di fronte ai suoi studenti, l’attivista per la sua lotta. Vi e’ anche chi ha bisogno di visibilita’ perche’ rischia l’emarginazione, o il silenzio coatto, e necessita invece della forza, dello sguardo, della voce della comunita’.
Vi e’ poi chi ama farsi fotografare e chi schiva l’obiettivo come fosse uno strumento di tortura. Immagino dipenda, in quest’ultimo caso, semplicemente dal carattere.

Nello specifico, chiunque produca un immagine di se’ in un asana lo fa generalmente per una manciata di motivi, di cui per certo me ne sono persa alcuni:

– vuole condividere un insegnamento, il piu’ delle volte gratuitamente (youtube, instagram, vimeo, facebook, blog personali, etc etc) con il grazioso e buon intento di consigliare, aiutare, guidare, chi da casa guarda. Il video o la foto, in questo caso, hanno un chiaro taglio didattico, con voice off, indicazioni tecniche, ma soprattutto un grosso carico di esperienza e conoscenza delle strutture del corpo.

– vuole promuovere un’attivita’ legata allo yoga, ha dunque funzione propriamente commerciale. In questo caso il range estetico oscilla da produzioni da centinaia di migliaia di euro, e uso di cervelli pubblicitari notevoli, a folkroristiche immagini che promuovono souvenir di spiritualita’ o acrobazia. Insomma, direi che in questo caso la responsabilita’ e’ dell’agenzia di comunicazione, e in chi sceglie l’immagine e la promozione del proprio centro. Certo e’, che in questa selva di prodotti yoga, in qualche modo si deve pure agire per conquistarsi il proprio angolo.

– ci si fa un asana-selfie perche’ “mi va e basta, mi diverte”, ma questa risposta solitamente vale se si fa qualcosa di anomalo, che tira in mezzo perche’ e’ strano e inspiegabile, e gli altri non lo fanno e nessuno ci capisce nel nostro farlo. Che non e’ il caso dell’asana-selfie, considerando che e’ quanto di piu’ mainstream vi sia nell’attualita’ yogica. La risposta dunque vela un non detto, “lo faccio perche’ lo fatto tutti gli altri”. E allora capiamo che su di noi praticanti o insegnanti vince il flusso della comunicazione mediatica, piu’ che una scelta che abbia il sapore della particolarita’ personale.

– ci si fa un asana-selfie per mostrarsi, per fare vedere che si sa fare un asana, o forse, io non lo so, che si sa fare un asana e fotografarsi nello stesso tempo, che si e’ forti, che si ha equilibrio, elasticita’, forza nelle spalle, bei glutei, che si e’ simpatici, belli, in salute. Anche qui, non saprei. Quest’ultimo caso, si riconosce perche’ non hanno alcun indice di intento didattico, non sono tutorial, sono home made, non vi e’ produzione alle spalle, non hanno dichiaratamente scopo commerciale (anche se in alcuni casi si’), ovvero non sono sponsorizzati da centri, associazioni, studi, marchi. In gergo tecnico si dice show off. Una micro esibizione, easy, cozy, spensierata, in cui mi mostro in stato di yoga, o qualcosa del genere. Faccio un asana, selfie, condivido. E aspetto approvazione, o like. Che vi sia ricerca di approvazione ne sono convinta, anche se fa fastidio dirlo, e leggerlo, altrimenti se no passeremo quel poco tempo che ci resta a farci selfie di quanto siamo rigidi, squilibrati, mollucci, imbranati.

Concludo dicendo che non ho le idee chiare a riguardo, mi piacerebbe che questo flusso di fotografie e video intorno agli yoga continuasse, si evolvesse, si modifichicasse, aumentando o diminuendo, che ci stupisca comunque.
Non posso che osservarlo e farne un poco parte anch’io.

Ma se non lo sappiamo fare e non ci guarda nessuno, siamo noi, comunque.
Anche se non lo sappiamo fare e nessuno ci guarda.

E nessuno ci mette un like.